Da Milano a Palermo, gli studenti non ci stanno. Vogliono esprimere, anzi urlare, il loro no categorico contro la Riforma Gelmini. Per farsi sentire non si accontentano di asserragliarsi in licei ed università. Occupano monumenti. Il Colosseo a Roma, la balconata della basilica di San Marco a Venezia, la mole Antonelliana a Torino. Impossibile passare inosservati in luoghi così visibili, così legati alla cultura e all’identità del nostro Paese. A Palermo sei cortei e un gruppo di studenti incatenati davanti al teatro Massimo. A Catania ostruita l’arteria di Via Vittorio Emanuele, all’incrocio con Via Ventimiglia e i locali della facoltà di Scienze Politiche occupati, nella speranza di bloccare l’approvazione del disegno di legge. Questo popolo di studenti, ma anche di docenti e ricercatori universitari, figlio e nipote dei sessantottini, sa  usare bene i nuovi mezzi di comunicazione: il tam tam sulle proteste corre veloce sul filo di Internet, tramite Facebook e i siti delle varie organizzazioni studentesche.

Tra i punti maggiormente controversi, c’è sicuramente lo stato di precarietà in cui versano alcuni professori e ricercatori, i quali, spesso con stipendi da fame o addirittura gratis, svolgono incarichi di docenza. Ancora, si  guarda con preoccupazione ad una Riforma a costo zero, o forse dovremmo dire sotto lo zero, visti i tagli feroci operati dalla finanziaria, una vera e propria scure sull’istruzione pubblica. Altro punto contestato è il criterio della governance, ovvero la possibilità che gli Atenei vengano gestiti da consigli di amministrazione in cui potrebbero sedere anche membri esterni, causando una vera e propria industrializzazione delle università, che si troverebbe in balia di soggetti esterni alla propria realtà.

Viste le motivazioni, sembra troppo facile affermare che questi ragazzi si lascino strumentalizzare dai centri sociali e dai baroni. O forse è troppo difficile pensare ad un Italia in cui i giovani ci sono ancora, e non solo per partecipare ai reality o per schiantarsi in autostrada ubriachi fradici. Ci sono ancora per dire no a chi vuole mettere le mani sul loro futuro. Ci sono ancora per urlare che ci credono ancora, che questo Paese, governato dai vecchi, si ricordi ancora dei suoi giovani.

26/11/10

Silvia Giangravè